Il risveglio
Cominciamo dalla fine. Da una vallata, nera più della notte nera. Una notte come tante altre. Forse. Gli amici di Costa, Curletti, Salsominore, Orezzoli, Castelcanafurone o di tutti i paesi sull’altro lato dell’Aveto che osservano la valle dalla finestra, al caldo delle proprie case, delle stufe accese. I lampioni sono le uniche luci in terra. Divise in lucenti mucchietti, sparse qua e là su profili di montagne soltanto intuiti, in nero su nero, ricordi dell’intorno alla luce del giorno. I campanili rintoccano la mezzanotte, con lenta regolarità. Dalle parti di Cattaragna si alzano verso il cielo i fuochi d’artificio che scoppiettando illuminano ciò che era buio, intermittenti come lampi e fragorosi come tuoni lontani; continui, incalzanti, festosi. Ciò che sembrava deserto, vuoto e disabitato si anima e diventa festa. E da una fine silenziosa si trasforma in un fragoroso inizio, che illumina e colora, e scalda i cuori.
Questa è stata la notte di Capodanno, per chi l’ha vissuta a Cattaragna, spostandosi dalla città per non mancare, per raggiungere gli amici, per la voglia di stare insieme, partecipando al cenone e distribuendo auguri, e ricevendone in cambio dieci volte in gioia. E nella stessa notte è stata una parentesi sorprendente per tutti i temerari dei paesi vicini, forse allietati e stupiti dallo spettacolo pirotecnico cui hanno assistito, guardando fuori prima di rintanarsi sotto le coperte pesanti e accoglienti.
È stato un inverno strano, sui nostri monti. Strane temperature, tanta pioggia e poca neve (del vento non parlo nemmeno, tanto quello a Cattaragna c’è sempre). E la primavera sembra arrivata in anticipo. Oppure è l’autunno che non è mai finito veramente.
È stato un inverno strano, sui nostri monti. L’anno vecchio ha voluto privarci di due persone che a Cattaragna hanno vissuto tanto, e che sono parte della sua storia, una storia che attraversa i secoli e per fortuna non cancella il nostro personale cammino nei cuori di chi ci ha conosciuto. Nella fugace corsa di una settimana, tra la fine di novembre e i primi giorni di dicembre, se ne sono andati la “Lissìa” (Lucia Briggi in Bernardi) e “Perri” (Pietro Caldini).
L’ultima volta che ho incontrato Perri eravamo alla “castagnera”, andava spesso ad alimentare il fuoco per la mia famiglia mentre noi non c’eravamo, contribuendo al successo della farina di castagne di quest’anno, come anche negli anni passati, quando ci siamo lanciati nell’impresa. Ricordo che, mentre controllava le galline nel pollaio, appoggiato alla sua “cèinda”, la rete di recinzione, aveva citato una frase di suo padre: “A Cattaragna il vento tira quattordici mesi all’anno…” Qualche parola da scambiare, di solito si parla del tempo, un po’ come un saluto, una bella stretta di mano fatta col pensiero.
L’ultimo incontro con Lucia invece è stato in ospedale a Piacenza, a trovare l’amico Pippo, con gli occhi lucidi come tutte le mamme, come tutte le persone di cuore. Di lei mi resta il ricordo di tanti gesti d’affetto riservati a me e in particolare a Eletta (che è pur sempre una “furesta”, una forestiera), un affetto assoluto e gratuito esternato ad ogni incontro. Sorrido ricordando una volta in cui ero nell’orto con i miei genitori e mia moglie: a un certo punto ci siamo voltati ed Eletta non c’era più. L’ho ritrovata nella cucina della Lucia mentre, incitata da lei e dal Cià (Giovanni), cercava di mangiare una razione per quattro persone di budino al cioccolato con i biscotti (ovviamente, già che c’ero, l’ho aiutata a finire…). Della Lissìa mi resta un piccolo rimpianto, racchiuso in una scatola di caffè di quelle di ferro, che avevamo comprato quest’estate per accettare un suo invito senza arrivare a mani vuote. Proprio quel caffè che per lei era il benvenuto da offrire a chiunque si presentasse alla sua porta. Il rimpianto è di non essere riusciti ad andare per mancanza di tempo e di non aver più recuperato quella visita.
Di solito non mi sento tanto saggio da permettermi di elargire consigli, ma questa volta farò un’eccezione. Se pensate a una persona che non sentite da tempo, se avete la possibilità di incontrarla o chiamarla al telefono (per i più giovani i mezzi per comunicare sono tanti), non aspettate, non rimandate. Fatelo e basta. Chiamate, scrivete. E non lo dico perché sono pessimista, anzi. Lo dico perché secondo me così si vive meglio, e spesso sono proprio sufficienti cinque minuti del nostro tempo. Così poco per avere in cambio così tanto: un’amicizia, un affetto che si rafforza, sorrisi, momenti per stare insieme.
Perri e la Lissìa se ne sono andati, e all’inizio del nuovo anno li ha seguitianche Angelo Peirano di Rapallo. A molti di noi il suo nome dice poco o niente, ma per tanti anni è stato a Cattaragna insieme a noi, e prima ancora qualcuno lo ricorda dai tempi in cui si andava a raccogliere le olive. Lo conosciamo tutti, solo che l’abbiamo sempre chiamato “il marito della Pierina (Calamari)”. Sono contento di scrivere di lui perché credo che tutti lo ricordiamo per la sua mitezza, per la sua presenza delicata e i suoi modi gentili, quasi non volesse mai disturbare. E mi colpisce come anche queste presenze discrete lascino un segno del loro passaggio. E lo stesso senso di vuoto, altrettanto persistente e malinconico di chi ci ha attraversato la vita in modo più rumoroso.
Se ne sono andati, lasciando, come chi li ha preceduti, cari ricordi a mitigare quel senso di assenza che a volte preme forte sul petto e lascia che il dispiacere sgorghi come acqua, come in quei canali che quest’inverno sbucavano in cascate bianche da ogni piega spigolosa delle nostre montagne, carichi di pioggia persistente e sfrontatezza.
È stato un inverno strano a Cattaragna. Quello del “minimo storico”: mai così poche persone erano rimaste a popolarne le case, le “tramëse”, le stradine fin troppo silenziose. Mai così pochi camini hanno pennellato di fumo bianco quella porzione di cielo che così ben conosciamo e che pensiamo con nostalgia nella nostra frenetica vita di città. Difficile dire se questo spopolamento sia davvero un fenomeno irreversibile. Con tutto questo pianificare, progettare, faccio fatica a guardare oltre a un orizzonte più lungo di qualche giorno o di qualche settimana. Quello di cui sono sicuro, ciò in cui confido per il bene del mio paese e mio personale, è che, pur svuotandosi in certi periodi, come un mammifero che si addormenta nel letargo invernale, il paese sia vivo e che continui ad esserlo, risvegliandosi ad ogni primavera.
A testimoniare questa affermazione, resa concreta dalla scelta di tanti, ci sono le macchine che durante i fine settimana svoltano a sinistra al bivio di tre-bis, scalando tutte le marce possibili, e le attività del Circolo che coinvolgono tanti, sia nell’organizzazione che nella partecipazione agli eventi: la seconda edizione della marcia non competitiva, prevista per il 22 giugno; la sagra di Sant’Anna sabato 26 luglio, allietata dal suono di una buona fisarmonica e da prelibatezze di ogni tipo; la terza “festa sotto le stelle di…pinte”, la sera di mercoledì 13 agosto; e tanti altri piccoli e grandi momenti per ritrovarci insieme a tutti coloro che vorranno trascorrere qualche ora felice e rilassante a Cattaragna, approfittando dell’occasione per affacciarsi sulla Val d’Aveto da una posizione privilegiata come la nostra terrazza.
Così, al prossimo inverno, non ci sarà solo il vento e il silenzio a riempire i vuoti delle nostre “tramëse”: le attraverserà, riscaldandole, anche l’eco della festa e della moltitudine, dei nuovi arrivi e dei ritorni, degli abbracci fraterni.
Dei ricordi, sia quelli vecchi che i nuovi, quelli che ci apprestiamo a costruire insieme.
Buona Pasqua a tutti.
Maurizio Caldini
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